Nel dubbio… continuiamo a camminare?

Nel dubbio… continuiamo a camminare?

È arrivato! È arrivato il dubbio o è arrivata un’illuminazione? 

È da tre articoli che camminiamo, e ho deciso di fermarmi, ma solo apparentemente. Vi va di prendervi una pausa con me, per farci qualche domanda e… non darci risposte?

Bello, no? ?

Apriamo con questa riflessione: se ci viene un dubbio, che cosa facciamo?

  1. Ci fermiamo?
  2. Cambiamo strada?
  3. Ci fermiamo e poi cambiamo strada?
  4. Continuiamo a percorre la stessa strada?

Come rispondere, se non attraverso un processo mentale, che si pone il dubbio? Come evitare una domanda, che solleva un dubbio?

Togliamo dal campo – prima di tutto – qualche dubbio sul dubbio. Con una definizione presa in prestito da Wikipedia: 

Il dubbio è una condizione mentale, nota sin dall’antichità, per la quale si cessa di credere a una certezza, o con cui si mette in discussione una verità o un enunciato 

L’obiettivo di questo articolo è “portarsi a casameno risposte di prima, per non avere certezze (o forse, solo alcune certezze ?).

Che ne dite? Ci state? 

Perché ho scelto di parlare di questo tema?

Un obiettivo che la formazione e il coaching devono perseguire, per poter essere considerati due processi efficaci nella crescita delle soft skills personali, è quello di non fornire risposte esatte, ma lasciare le domande giuste.

Da qui, passa la crescita di ognuno di noi. Il cambiamento.

Ogni volta che finiamo un corso di formazione o un percorso di coaching, potremmo rispondere a queste 3 domande: 

  1. Che cosa ho fatto, che NON avrei voluto fare?
  2. Che cosa NON ho fatto, che avrei voluto fare?
  3. Che cosa devo/voglio fare adesso?

Vi sarà certamente capitato di camminare… camminare e poi – ad un certo punto – scontrarvi con un punto interrogativo (?). Una domanda posta da un coach, o magari da voi stessi, o generata semplicemente dal dialogo con qualcuno.

Quando accade, per qualche secondo, alziamo la testa, ci guardiamo intorno e affrontiamo una riflessione, un ragionamento guidato anche dalle emozioni. Ed è possibile, che a tutto questo segua una scelta diversa da quella fatta in partenza. E quindi un cambio di direzione. 

Un esempio: 

scelgo di mettermi in cammino e di fare circa 40 km al giorno, tutti i giorni, per percorrere 200 km in 5 giorni ed arrivare così nel luogo che ho individuato come il punto di arrivo. Il primo giorno porto a termine la mia tappa di 39 km con molta fatica; il secondo giorno sono ancora più stanco e fatico ad arrivare ai 30 km, ma mi sforzo di raggiungere anche stavolta l’obiettivo giornaliero di 41 km. Il terzo giorno, dopo qualche chilometro di camminata, incontro un signore di 85 anni – zaino in spalla – che mi racconta che è in cammino, semplicemente in cammino, e non vuole arrivare da nessuna parte: vuole solo ammirare il mondo al rallentatore… Terminato il nostro scambio, mi rimetto subito sui miei passi, dopo qualche chilometro sento l’esigenza di fermarmi. 

La domanda che nasce in me, è:

Sono sicuro che il mio obiettivo sia quello di fare di tutto, pur di arrivare in quel luogo, anche a costo della mia salute? Oppure ho semplicemente voglia di fare una lunga passeggiata e di esplorare nuovi luoghi, gli stessi che sto perdendo di vista, per privilegiare solo i chilometri da percorrere?     

Molti filosofi hanno trattato il tema del dubbio. Da Socrate a Platone, passando per Agostino e Cartesio, finendo con Hume e Kant. Proprio loro, con il ragionamento filosofico, hanno sollevato dubbi su dubbi, per comprendere il funzionamento del mondo.

La condizione di dubbio ci permette di sviluppare il pensiero critico verso una realtà che ci pare data e definita. Ma la realtà è quella che ognuno di noi costruisce. È quindi lecito porsi una domanda, per esplorare un punto di vista diverso, da quello adottato fino a quel momento. D’altra parte, siamo fasci di abitudini e le abitudini sono comportamenti ripetuti automaticamente, di fronte alle situazioni della vita quotidiana, davanti alle quali non ci poniamo più la domanda:

È davvero funzionale – per me – agire in questo modo? 

Solo se riesco a pormi dei dubbi in modo consapevole, sono in grado di fare una valutazione critica. È curioso: il pensiero critico, che per sua definizione si fonda sul tentativo di andare al di là della parzialità soggettiva, attraverso la chiarezza, l’accuratezza, la precisione e l’evidenza, in realtà nasce proprio dalla condizione di dubbio soggettiva, che mira a non dare qualcosa per vero e funzionale, a prescindere da come mi viene dato.

Questa è l’unica certezza che, paradossalmente, ci è data dal dubbio. 

Dubitare è quindi negativo o positivo?

È giusto parlare di negatività o di positività?

È funzionale parlare in termini di giusto o sbagliato?

È forse il momento di dubitare?

Nel dubbio – per ora – continuiamo a camminare… 

Ah! Ecco finalmente una risposta alla mia prima domanda. Ma – attenzione! -non escludo possa cambiare la prossima volta… 😉

IMMAGINE ARTICOLO: https://www.pexels.com/photo/photo-of-yellow-arrow-road-signage-977603/
simone.giovarruscio