26 Feb Dal feedback al feedforward…
Cercasi feedback disperatamente, è il leitmotiv che risuona nelle organizzazioni.
Fornire feedback è una skill essenziale per i leader. Riceverli è una leva motivazionale per i collaboratori, che per ambire al raggiungimento degli obiettivi organizzativi, hanno bisogno di sapere come stanno lavorando, se la loro performance è in linea con quello che i loro leader si aspettano e che cosa hanno fatto bene o è necessario cambiare.
Tradizionalmente, questa informazione è stata comunicata nella forma del downward feedback, dal leader ai suoi collaboratori. Con il tempo ci si è accorti che questa forma era riduttiva, perché così come i collaboratori hanno bisogno di ricevere feedback dai loro leader, anche i leader possono beneficiare dei feedback dei loro collaboratori, sull’efficacia della loro leadership. L’upward feedback è divenuto pertanto sempre più frequente, con l’avvento della valutazione a 360°.
Ma perché questo feedback non riesce a farsi strada nelle menti degli uomini e incontra tante resistenze, in chi lo deve dare e in chi lo riceve?
Proviamo ad analizzare i due problemi fondamentali di questi tipi di feedback:
-
si focalizzano sul passato, su ciò che è già accaduto, e non sull’infinita varietà di possibilità che possono accadere nel futuro. Questo rende il feedback limitato e statico, invece di ampio e dinamico;
-
le persone tendono ad accettare feedback coerenti con il proprio modo di vedere se stesse e a rifiutare o negare quelli che non sono coerenti.
Le persone di successo, tendono ad avere un’immagine di sé molto positiva.
Queste persone s’ingannano profondamente sui loro successi: più del novantacinque per cento dei membri dei gruppi di maggiore spicco crede che le sue performance si collochino nella fascia più alta di quelle del gruppo. Dare a persone simili un feedback negativo, significa pertanto dimostrare che si sbagliano. Dimostrare alle persone vincenti che si sbagliano, ha lo stesso effetto che cercare di cambiarle: non succede niente.
Ma allora, forse è arrivato il momento di cambiare paradigma. In un mondo in cui i cambiamenti sono sempre più veloci, le nuove generazioni portano nelle organizzazioni nuovi bisogni di cui tenere conto e la complessità aumenta. Dobbiamo prendere atto che le persone hanno bisogno di qualcosa di svelto, di agile, in tempo reale, qualcosa che sia più personalizzato e focalizzato sull’alimentare performance future, piuttosto che sul valutarle nel passato.
A questo punto vi domanderete: quindi… che cosa bisognerebbe fare?
Sviluppare la capacità di scambiare feedforward può aiutare a creare un cambio di prospettiva verso una performance futura, che genera valore.
Il termine “feedforward” è stato coniato da Marshal Goldsmith e Jon Katzenbach (autore di “The Wisdom of Teams“, Harvard Business School Press, 1993), per fornire a persone, team e organizzazioni dei suggerimenti per il futuro e per aiutarli a raggiungere un cambiamento positivo nel loro comportamento.
In alcuni circoli di formazione e di coaching, il feedforward è un’originale tecnica di comunicazione, acquisita e usata verso il 1990, per potenziare e talvolta anche per sostituire il feedback positivo e negativo. Con il tempo, è stato dimostrato che il feedforward è più di un tool di comunicazione, è uno strumento strategico di change management molto potente, che favorisce lo sviluppo di una prospettiva di coaching nell’ambiente manageriale.
Vediamo i punti di forza di questo strumento di sviluppo…
- è orientato alla soluzione, fornendo chiare indicazioni su come risolvere un problema senza offrire critiche;
- è orientato al futuro, evitando commenti su comportamenti o risultati passati che non possono essere cambiati;
- non è percepito come giudicante;
- è più efficace perché insegna alle persone a fare “bene”, invece di dimostrare che hanno sbagliato;
- aiuta a risolvere i conflitti, posizionando la relazione su una dimensione positiva e di supporto;
- favorisce l’auto-sviluppo, offrendo opzioni e alternative di miglioramento.
… ovviamente, se correttamente implementato!
Sto applicando, come coach, l’approccio di Goldsmith. Quando comincio a lavorare con un cliente, gli chiedo di scegliere i collaboratori che desidera coinvolgere nel processo di miglioramento e dai quali vuole essere aiutato. Informo i collaboratori su come funziona il procedimento e sottopongo loro i quattro vincoli:
- non rivangare il passato;
- dire la verità;
- essere collaborativi e utili, non critici o negativi;
- scegliere un comportamento da migliorare anche in se stessi, in modo che ognuno sia concentrato più sul migliorare che sul giudicare.
I risultati? Quando nel processo di cambiamento sono rispettati questi vincoli ed entrambe le parti sono coinvolte, soprattutto nell’assumersi la responsabilità e l’impegno reciproco a cambiare qualcosa di sé, i risultati arrivano ed entrambe le parti ne traggono beneficio.
“Il cambiamento non è una strada a senso unico, bensì un processo che coinvolge due parti: la persona che cambia e coloro che la osservano”.