#BasicSkill – [1] Collaborative learning and problem solving

#BasicSkill – [1] Collaborative learning and problem solving

Formazione e apprendimento

Nel precedente post, abbiamo visto che spesso le attività formative – comprese quelle tenute in setting ibridi – seguono ancora per lo più un modello lineare che considera la formazione come un passaggio di competenze da chi sa/sa fare a chi non sa/sa fare. Le figure principali sono due: il soggetto che forma e detiene un sapere o una competenza e il soggetto che deve essere formato che, per definizione, ne è privo. Centrale è il processo di trasferimento attraverso il linguaggio e in misura minore, l’esperienza. Il formatore è il soggetto attivo – che oltre a detenere le competenze, gestisce il processo – mentre chi è formato è in posizione passiva. L’interattività è limitata. Paradossalmente, la responsabilità del successo o del fallimento è invece del soggetto in training. 

Costruire e formare

In ottica costruttivista, la figura principale è il soggetto che apprende e il focus è l’apprendimento, cioè il processo attivo di costruzione di competenze. Il processo di apprendimento è basato sull’interazione di chi apprende con il suo ambiente che fornisce stimoli, esperienze e informazioni. Le attività esperienziali hanno un ruolo centrale. Il compito del formatore è quello di facilitare il processo di apprendimento e la responsabilità del successo è condivisa tra chi apprende e chi svolge la funzione di facilitatore.

Learning first

Per una formazione davvero efficace, è quindi essenziale integrare pratiche costruttiviste, basate sull’elaborazione dell’esperienza. Le tecnologie digitali sono particolarmente adatte a favorire questa integrazione. I termini correlati all’ingresso del digitale (e-learning, technology enhanced learning, digital learning) sono infatti centrati su learning e non su teaching. Le tecnologie digitali favoriscono il superamento delle distanze fisiche, le relazioni e il coinvolgimento emotivo; facilitano la condivisione di informazioni multisensoriali (testi, immagini statiche, filmati, suoni, parole); permettono di fare esperienza diretta anche in ambiti lontani nel tempo e nello spazio e in situazioni complesse, limitando le conseguenze negative al campo del virtuale. 

La mente non è vuota 

Dal punto di vista costruttivista la mente non è mai vuota. Al contrario, esistono fin dalla nascita strutture mentali (idee, modelli, schemi di comportamento, teorie, ecc.) legate prima ad aspetti istintuali, poi via via più raffinate: questa progressiva evoluzione è l’essenza del processo di apprendimento. Il processo non è lineare, ma procede per salti. Non può esserci vero apprendimento senza mettere in crisi le strutture mentali preesistenti e questo, pur essendo un processo autonomo, è reso possibile da attività e ambienti formativi che mettano a disposizione stimoli efficaci, informazioni adeguate, sistemi di sostegno, reti di relazioni e tecnologie. 

La formazione è facilitazione  

Una formazione che voglia riflettere il senso costruttivista dell’apprendimento, deve muovere nella direzione in cui si situa il concetto di facilitazione, come metodologia di supporto che consente a individui e gruppi di condividere conoscenze e valori espliciti e impliciti e di trovare la propria personale soluzione per raggiungere gli obiettivi prefissati. Utilizzare i metodi e le tecniche di facilitazione permette di attivare un processo che guida i partecipanti in modo neutrale, li protegge dalle insidie nascoste nella ricerca di soluzioni rapide, funzionali a preservare lo status quo e stimola l’approfondimento nato dalla riflessione sul lavoro svolto. 

Il formatore è un facilitatore

Il ruolo del formatore come facilitatore dell’apprendimento richiama la necessità di usare strumenti per favorire l’esito costruttivo e narrativo dei processi comunicativo-relazionali, astenendosi dal fornire ricette precostituite o risposte, per attivare un processo dal basso – bottom-up. L’atteggiamento dovrebbe essere quello  tipico degli approcci user centered, centrati sull’utente, in cui il procedere non è direttivo, ma orientato alla libera espressione del potenziale dei singoli, garantendo la massima partecipazione. In concreto, svolgere la funzione di facilitazione significa quindi non limitarsi a trasferire informazioni, ma

  • attuare una formazione basata sui problemi (problem-based learning);
  • costruire ambienti di apprendimento, cioè spazi fisici, sociali e tecnologici;
  • condividere informazioni, conoscenze, abilità ed esperienze;
  • garantire il costante coinvolgimento attivo di chi partecipa;
  • progettare esperienze di apprendimento attivo, in cui mantenere un equilibrio costante tra le sfide del compito e le abilità di cui si dispone (a livello individuale o di gruppo).

Tutto questo significa che il lavoro del formatore si sposa con una visione dell’apprendimento che avviene prevalentemente integrando la trasmissione di competenze con l’esperienza (learning by doing) in gruppo (collaborative learning). 

Learning by doing

L’apprendimento che deriva dall’esperienza – cioè dall’incontro-scontro tra le competenze e la vita reale – risulta particolarmente efficace, perché si applica a problemi tangibili, percepiti con chiarezza, con un forte coinvolgimento della sfera emotiva.  In questo contesto, anche il gioco può far parte di un progetto formativo. Attivare esperienze che prevedano l’interazione tra partecipanti a uno stesso percorso facilita la messa in discussione e l’apprendimento di nuovi modelli, l’uscita da uno schema logico, poiché  produce qualcosa di esterno al gruppo che cambia il sistema stesso. È per questo che apprendere dall’esperienza serve a poco, se non avviene in forma collaborativa. 

Collaborative learning and problem solving

Le conoscenze e le competenze vengono acquisite e messe in atto proprio attraverso l’interazione sociale, che prevede la condivisione di idee, dubbi, problemi e soluzioni. Significa che si impara attraverso l’interazione con le altre persone, ma anche con gli oggetti – e le tecnologie – prodotti dalla cultura nella quale si è immersi. Si apprende attraverso l’interazione con gli oggetti, perché sono un’espressione concreta delle competenze e dei valori propri della cultura di appartenenza e influenzano direttamente ogni esperienza. Si apprende attraverso l’interazione con le persone, perché il piccolo gruppo: 

  • favorisce il rispecchiamento reciproco;
  • rappresenta uno spazio di simulazione, in cui sperimentare e allenare comportamenti e apprendimenti, ma anche rielaborare quanto accaduto e trasferirlo nell’operatività;
  • enfatizza attività basate sull’approccio ai problemi (problem based learning) che attiva il coinvolgimento a la responsabilità individuale;
  • permette di allenare competenze utili per fronteggiare le sfide della complessità: networking, comunicazione, gestione delle informazioni, lavoro di gruppo, pensiero critico, riflessione, soluzione dei problemi, negoziazione, produzione di conoscenza;
  • amplifica l’apprendimento basato sul fare e collaborare, orientato a co-costruire attivamente una conoscenza che nasce e si alimenta dall’interazione tra pari e con figure esperte;
  • ridefinisce anche i partecipanti, oltre al formatore come co-creatori di conoscenza. 

Questo vale ancora di più nelle fasi di cambiamento profondo e rapido come quello portato dalla trasformazione digitale, in cui anche i paradigmi fondanti cambiano ogni pochi anni.

Nel prossimo post parleremo di Learning to learn and continuing to learn.

A presto!

 

 

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