Comportamenti. Positivi, negativi o neutrali? A te la scelta!

Comportamenti. Positivi, negativi o neutrali? A te la scelta!

Li osservo e li affronto da più di trent’anni: i difetti relazionali e gli atteggiamenti insopportabili e poco rispettosi in ambito organizzativo sono sempre più frequenti. E misuro che l’impatto negativo che hanno su motivazione, ingaggio ed efficacia delle persone, aumenta in modo esponenziale.

È come se le persone, nel contesto lavorativo, fossero più inclini ad esprimere il peggio di sé. Spesso lo fanno inconsapevolmente, avendo la presunzione di essere perfetti nel loro modo di stare con gli altri. 

A volte si tratta addirittura di tattiche studiate, per affermare il proprio potere o per essere riconosciuti.

Diventiamo spesso vittime di tic comportamentali: cattive abitudini che ripetiamo decine di volte sul posto di lavoro o nella vita privata, generando irritazione nei nostri colleghi, collaboratori, capi, amici, partner e compromettendo le relazioni personali e professionali.

Proviamo a fare questo esercizio: vi descrivo alcuni comportamenti interpersonali – per lo più relativi alla leadership – messi in atto da una persona nel contesto lavorativo. Vi chiedo di fare una verifica su voi stessi, su quante volte ne siete stati colpevoli o vittime.

  1. Assecondare l’invasiva pulsione a voler vincere a tutti i costi: andare oltre la sana competizione, superando la linea tra l’essere competitivi e l’essere ipercompetitivi; voler essere vincenti in ogni situazione, anche quando non ne vale la pena. Per esempio, se siete in fila alla cassa del supermercato e vi accorgete che ne stanno aprendo un’altra, scattate subito per conquistare il primo posto! Bravi, avete vinto! Siete stati più furbi di tutti gli altri! Ne valeva veramente la pena?
  1. Fare osservazioni sarcastiche e taglienti più o meno intenzionalmente, con lo scopo di sminuire gli altri, ferirli, affermare la nostra superiorità (tra queste, ci sono anche le osservazioni che facciamo sulle persone assenti). Nel mio lavoro, mi capita spesso di trovarmi di fronte a manager che hanno una maggiore attitudine a svalutare, sminuire e criticare l’operato dei propri colleghi e collaboratori, invece di valorizzarli e apprezzarli. Diciamo che fare commenti distruttivi è un’abitudine in cui è facile cadere.
  1. Far sapere agli altri che siamo intellettualmente pari a loro, se non superiori (una variazione al bisogno di vincere a tutti i costi). A volte manifestiamo questo bisogno con il linguaggio del corpo, per esempio scuotendo la testa con impazienza, mentre gli altri parlano di qualcosa di cui siamo già a conoscenza. Se il nostro interlocutore non coglie i nostri segnali non verbali, riusciamo ad uscire illesi da quello scambio relazionale. Più grave è quando diciamo apertamente e con leggerezza la mitica frase: “Lo sapevo già!”, o in modo sarcastico, esordiamo dicendo: “Pensi che io dorma?”. Implicitamente, è come se dicessimo all’altro: “Non sai chi sono io, sono un passo più avanti di te!
  1. Essere carenti nella comunicazione/informazione. In particolare, affidare un compito a un collaboratore e non dedicargli tempo per dargli tutte le informazioni necessarie; dimenticare di coinvolgere (invitare) qualcuno in una riunione; astenersi dal riconoscere il contributo di una persona al raggiungimento di un successo. Quest’ultimo è un comportamento frequente nel contesto lavorativo: ma il bisogno di riconoscimento e approvazione è molto importante. Quando non è soddisfatto, ci si sente trascurati e non valorizzati, con pregiudizio per il proprio livello di ingaggio e motivazione.
  1. Impadronirsi dei meriti altrui. In questo caso, siamo di fronte al difetto relazionale che più di qualsiasi altro genera emozioni negative. Si può riuscire a comprendere e perdonare qualcuno che non ha riconosciuto una nostra eccellente performance, ma difficilmente si riesce a superare quello che si prova, quando qualcuno si appropria dei nostri meriti e successi. Questo difetto relazionale raggiunge il massimo della spiacevolezza se una persona (leader) non si assume le proprie responsabilità – e le scarica sugli altri – quando genera un problema o commette un errore.
  1. Cercare scuse e giustificazioni per una nostra mancanza, o errore. Roma è una città che ci fornisce un fantastico alibi: il traffico. Il corso (o la riunione) inizia alle 10.00: puntualmente 3-4 partecipanti su 10-12 arrivano in ritardo, pronunciando la seguente frase: “Scusate il ritardo, ma c’era un traffico pazzesco!”. Forse sarebbe più rispettoso dire: “Scusate, se vi ho fatto aspettare!”. Il traffico è una debole spiegazione, saremmo potuti partire prima ed essere noi ad aspettare! 
  1. Chiedere scusa. Il rifiuto di scusarsi è un difetto di tipo relazionale molto diffuso in azienda. Forse perché si ritiene umiliante scusarsi, o si teme di perdere il potere e il controllo, ammettendo di aver torto. Eppure, la parola magica “scusa” è uno strumento umano potentissimo, è dire all’altro: “Ti ho ferito e mi dispiace per questo, perdonami”. L’altro giorno, ero al telefono con un’amica arrabbiatissima e molto ferita per una risposta ricevuta dal marito. A un certo punto mi ha detto: “Mi avesse almeno chiesto scusa!”. Ho pensato: incredibile! la parola magica “scusa” avrebbe trasformato in positivo il risentimento che provava verso il marito! 
  1. Esprimere un eccessivo bisogno di essere se stessi. Nei percorsi formativi e di coaching, mi capita di incontrare clienti che manifestano una profonda devozione verso il proprio Io. Spesso esordiscono così: “Io devo sempre dire quello che penso, altrimenti non sarei sincero/a, perderei la mia autenticità”! Pur di esercitare il diritto di essere noi stessi, non consideriamo minimamente quanto possa essere superfluo o dannoso per l’altro, esprimere sempre la nostra opinione. Possiamo pensare che il nostro capo sia incompetente, ma è proprio necessario dirlo a lui o a chiunque altro? Porci qualche domanda, prima di esprimere il nostro pensiero, potrebbe forse prevenire i commenti distruttivi. Chiederci, per esempio: “Questo commento sarà utile alle persona con cui sto parlando?”.  

C’è in questa lista qualche comportamento di cui siete colpevoli? 

Io mi ritrovavo spesso e involontariamente a ferire le persone che mi erano care, con le mie osservazioni sarcastiche e taglienti. Poi qualcuno mi ha aiutato a osservare la mia modalità relazionale e a smettere di agire in modo inefficace.

I difetti relazionali si possono correggere, se riusciamo a:

  1. riconoscerli: richiediamo un feedback ai nostri interlocutori su come ci percepiscono
  2. comprendere quanto siano devastanti per le persone che ci circondano: osserviamo in che modo il nostro interlocutore reagisce ad un nostro comportamento inefficace
  3. sperimentare che, con un piccolo aggiustamento comportamentale, si può avere un effetto molto più piacevole

Per sperimentare qualche aggiustamento dei nostri comportamenti negativi, che involontariamente ed automaticamente mettiamo in atto nella relazione con l’altro, possiamo seguire due approcci:

  1. stilare una lista di comportamenti positivi da agire, cose da fare per raggiungere l’obiettivo che ci siamo posti
  2. stilare una lista di cose da non fare più.

Sia nella vita privata che in quella professionale, conquistiamo credito se facciamo qualcosa di buono e positivo e, più raramente, se abbandoniamo un comportamento inefficace.

La valutazione delle nostre performance è basata su cosa abbiamo fatto: siamo stati puntuali nel rispettare le scadenze; abbiamo raggiunto il budget assegnato; abbiamo incrementato le vendite rispetto all’anno precedente.

Nell’ambiente produttivo di un’organizzazione, non esiste una procedura per onorare chi abbandona un comportamento dannoso. 

Peccato!

Immaginate, per esempio, che non siate considerate persone empatiche e vogliate cambiare questa percezione.

Allora decidete: Devo essere più empatico/a”.

Stilate la lista di azioni da fare: mettersi nei panni dell’altra persona; riconoscere il suo punto di vista, le sue emozioni e comunicarglielo; offrirgli il nostro aiuto, se ne ha bisogno. Dobbiamo trasformare tutti i comportamenti negativi in azioni positive, cosa estremamente impegnativa.

Ma esiste un modo più semplice, per raggiungere l’obiettivo di essere più empatico/a: smettere di essere al centro del mondo!

Forse così sarà più facile, perché non dovrete imparare nuovi comportamenti, ma solo fare un atto di omissione!

adriana.depasquale