04 Feb Elogio dell’Errore. Chi non prova non sbaglia!
Oggi vi scrivo di Errori, Colpe, Responsabilità e Giudizi e inizio il mio post dalla saggezza popolare, che ci tramanda un postulato assoluto “chi non lavora, non sbaglia”. Con una sorta di licenza poetica, provo ad estendere questo modo di dire, dal lavoro a ogni ambito della nostra vita, sottolineando il concetto di provarci.
Incontro tante persone nei miei interventi formativi in azienda. E molti si sentono dire “fate proposte, siate catalizzatori di idee innovative, di nuovi modi di lavorare, osate… ”. E poi? Dopo i miei interventi, mi capita di ricevere messaggi carichi di rabbia e frustrazione. Mi scrivono:
“… sai Alessandra, io ho provato a fare quella presentazione in modo innovativo come mi hai consigliato tu, ma mi hanno detto che è fuori standard”… oppure “non puoi immaginare la discussione di ieri con il mio capo: ho pensato di strutturare il progetto in un modo alternativo, seguendo un approccio tecnico diverso. Risultato? Non siamo riusciti a portare a termine il progetto entro la scadenza, ma abbiamo scoperto come ottimizzare alcune risorse. E il mio capo si è infuriato… Non gli interessava l’energia che abbiamo speso per pensare a un nuovo approccio, anzi non ha voluto ascoltare nemmeno il ragionamento che abbiamo impostato…”.
Mi capitano situazioni simili anche quando ascolto i genitori, che si preoccupano degli errori commessi nella gestione dei figli e si affannano alla ricerca di metodi, per evitare le repliche, temendo di incidere negativamente sul loro processo di crescita e di sviluppo.
Messaggi da cui trapela lo sconforto di chi sente di aver sbagliato e di essere giudicato, oltretutto non in relazione all’errore in sé, ma in relazione a se stesso, definito come un individuo che sbaglia.
Nel mio precedente articolo, vi ho già scritto di insuccessi: immaginavo addirittura di invitarli a cena! Un tema che mi appassiona e che sto cercando di arricchire di senso, attraverso ricerche, approfondimenti… e tanta sana pratica di errori quotidiani ☺
Il mio approccio in questo articolo sarà semi-serio (come sempre, d’altronde, in quello che scrivo): quindi, pronti a tuffarci nel girone infernale per incontrare le 4 terribili fiere Errori, Colpe, Responsabilità e Giudizi?
Partiamo da qui.
Cosa succede quando una persona SBAGLIA?
Immediatamente, prima che ci baleni in testa la risposta, siamo assaliti da numerose immagini di situazioni fantozziane: chi di noi non si è trovato nella condizione scomoda di dover giustificare, spiegare, argomentare o – peggio ancora! – coprire una mossa sbagliata, una frase infelice o un atteggiamento disfunzionale? E ci ricordiamo come ci hanno ferito le parole di chi, per ruolo o per diletto, si erge a giudice giudicante? E di certo ci ricordiamo anche le occasioni in cui noi stessi ci siamo rimproverati dentro, assillandoci…
Io penso, da sempre, che le parole pensate, scritte e dette siano importanti, che possano fare la differenza. Per questo provo ad analizzare con voi alcuni termini che hanno una forte affinità semantica con il concetto di “sbagliare”:
- Errore: (deriva da errare) significa vagare, peregrinare, vagabondare…
- Colpa: vuol dire azione o omissione che contravviene a una norma/regola
- Responsabilità: indica la condizione di essere responsabile, di comportarsi responsabilmente
- Giudizio: è l’attività logica del giudice, che applica le norme/regole al fatto da lui accertato
…e se lo dice Google, che si affida in prima riga alle migliori enciclopedie, c’è da fidarsi su queste definizioni!
Le implicazioni di tali definizioni in una relazione professionale, in azienda, fra due colleghi oppure fra un capo e il suo collaboratore, o in famiglia, tra genitori e figli, o semplicemente tra due amici, sono davvero impattanti. Ad esempio, se in un team di lavoro si verifica un Errore, è difficile fuggire la tentazione di risalire al Colpevole, per accertarne le Responsabilità e quindi formulare un Giudizio sulla persona che l’ha commesso.
Starete pensando: che persona negativa, sbagliata, potrebbe mai fare questo percorso mentale?
Vi darò una brutta notizia: anche se inconsapevolmente, questa euristica mentale attanaglia i ventricoli cerebrali di tutti noi, soprattutto se la situazione in questione ci investe emotivamente, economicamente, relazionalmente, lavorativamente, amicalmente, sentimentalmente… insomma se ci riguarda.
Risultato: quando siamo di fronte ad un errore, il tono di voce cambia, il disagio relazionale aumenta, il rischio di entrare in conflitto è dietro l’angolo, il groviglio emotivo interno si accende e il pensiero/dito giudicante penetra l’errore, va oltre, e punta direttamente la persona. La relazione è compromessa: l’altro è uno che ha sbagliato.
E quindi?
Un gran bel patatrac.
La questione diventa ancora più complessa, se l’altro in questione siamo noi stessi. E il dialogo interno, che a volte può essere sano e strategico, in questi casi diventa ossessivo: ce la prendiamo con la parte di noi che sbaglia. E quella che non sbaglia la rimprovera, la critica, la discredita, la rifiuta.
Tranquilli, una via di scampo c’è.
Cambiando il pensiero sugli Errori, si possono cambiare le azioni e le risposte emotive che ne conseguono.
Sempre più autori fanno a gara a raccontare le storie delle più grandi innovazioni che nascono da errori: anche io sono scivolata in questa tentazione. Ma – siamo realisti! – quelle non sono innovazioni, quelle sono… grandi, grandissime fortune!
Qui voglio scrivere per voi degli errori quotidiani, di quella presentazione fuori stardard, di quel progetto non consegnato entro la scadenza o di quel rimprovero al figlio, di cui sopra… Ecco, queste sono le situazioni a cui mi voglio riferire, più umane e condivisibili.
Secondo il mio mitico Hardford, lo psicologo degli errori costruttivi, non è possibile identificare una strategia sempre vincente e sempre valida per evitare gli errori. Con l’esperienza si può acquisire l’abilità di evitare le trappole “nascoste” in un determinato ambito. Ma non è detto che le situazioni che viviamo siano sempre analoghe ad altre già vissute e non è detto che noi ci approcciamo alle situazioni e agli eventi sempre nello stesso modo…
Insomma, evitare gli errori, in senso assoluto non si può. Quindi diffidiamo anche da coloro che si propongono nelle nostre esistenze come risolutori infallibili: i primi a sbagliare sono loro, in un atteggiamento mentale che può essere anche autentico (non necessariamente in malafede) ma, certamente, pericoloso e non destinato al successo.
Il suggerimento dell’autore è di cambiare il pensiero che abbiamo rispetto agli errori.
Cambiare l’atteggiamento mentale rispetto alla possibile situazione di errore. Come?
1. Il primo passo, in concreto, consiste nel CAMBIARE LE PAROLE MENTALI (o pensieri). E allora, ecco una proposta di sostituzione semantica che fa bene all’anima e alle relazioni:
- Tentativo… invece di Errore
- Evento… che sostituisce Colpa
- Impatto… al posto di Responsabilità
- Analisi (dell’errore)… che rimpiazza Giudizio (della persona)
2. Se cambiano i pensieri, allora possiamo CAMBIARE LE PAROLE DETTE/SCRITTE (o linguaggio). Alcuni esempi per elucidare un errore in modo efficace:
- Cosa è successo?… invece di Chi è stato?
- Cosa non ha funzionato?… al posto di Perché non ha funzionato?
- A cosa non avevamo pensato?… e non Perché abbiamo sbagliato?
- Cosa c’è di buono da ricordare?… che rimpiazza Come facciamo ad evitare che ri-accada?
3. Se cambia il linguaggio, possiamo CAMBIARE LE RISPOSTE EMOTIVE. In altre parole, se cambia la descrizione e la percezione delle situazioni, cambia anche la risposta emotiva alle situazioni stesse.
Tutto questo non significa, sempre per dirla con la saggezza popolare:
- nascondere la polvere sotto il tappeto (nascondere le conseguenze di un errore)
- fare orecchie da mercante (far finta di non sentire chi ci dice che abbiamo sbagliato)
- infilare la testa sotto la sabbia (scappare dai propri errori effettivi o potenziali)
Tutto questo significa attribuire all’errore il diritto di esistere, sfuggendo alle sensazioni disfunzionali di catastrofismo (irreparabilità dell’errore), generalizzazione (dall’errore alla persona) o frustrazione (senso di colpa commisurato alla percezione di gravità dell’errore). E così via.
Avere un approccio di questo tipo agli errori induce ad averne paura, induce a non tentare mai nuove vie perché il timore di andare in errore è troppo forte. Significa non darsi la possibilità di tentare. Cioè di sbagliare.
Rubo una frase di Hardford che mi ispira: impariamo a sbagliare in modo sistematico, consapevoli del fatto che il metodo che prevede di procedere per tentativi ed errori è biasimato da coloro che assimilano il concetto di Errore a quello di Colpa, mentre è ambito da coloro che avvicinano il concetto di Errore a quello di Tentativo.
Credo fortemente che una nuova fenomenologia degli Errori, delle Colpe, delle Responsabilità e dei Giudizi sia necessaria in molteplici contesti, dalle aziende, alle famiglie, alle relazioni in generale, sempre più intrise di complessità e di occasioni… per sbagliare bene.
Chi non prova, non sbaglia.
P.S. Tutto questo al netto di errori consapevoli, intesi come azioni ai danni propri o degli altri, dettati da intenzione volontaria, malafede e sentimenti negativi verso una situazione o una persona. L’intero discorso è valido per gli errori inconsapevoli, che nascono come azioni giuste e si trasformano ai nostri occhi e agli occhi degli altri in azioni sbagliate…